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IL BOVINO ISTRIANO, OGGI BOSCARIN
Boscarin è il nome che oggi viene dato al bovino istriano di razza podolica, ormai ridotto ad una reliquia genetica; sul territorio istriano sarà presente un centinaio di capi; censimenti più accurati ne rileverebbero forse duecento. Gaiardo, Caparin, Napoli, Viola erano i nomi più frequentemente usati per i rappresentanti della popolazione bovina dell’Istria che in passato raggiungeva le sessantamila unità.
Stì Caparì’, Zaa, erano incitamenti-comandi lanciati al bue dal contadino-conducente in modo lento, cantilenato in armonia con il suo modo d’incedere maestoso, accompagnati da un dolce rotear di “scuria” che si appoggiava al collo dell’animale come una carezza, un’intesa. La scuria e non frusta era un segno di distinzione per il proprietario;“una cubia de manzi” era tra l’altro un capitale, ma in più significava tanta terra da lavorare; altrimenti si usava il mulo o l’asino.
Oltre a tutto il Boscarin è soggetto seppure possente,docile e mansueto alla nostra mano. Il bue, aggiogato in diverse coppie, ha trasportato massi anche per la costruzione dell’Arena di Pola e dissodato il tenace terreno istriano. Come quasi ogni altra cosa è giunto alle rive dell’Adriatico dall’Est, dalla Podolia, dalle terre alte a base granitica dell’Ucraina orientale; da qui si è diffuso alle zone litoranee della penisola appenninica dando luogo per isolamento geografico successivo a popolazioni, famiglie e sottofamiglie di forme in alcune delle quali, per l’influenza di caratteristiche ambientali simili delle zone d’insediamento, il bue ha mantenuto od assunto aspetti morfologici molto simili; si rassomigliano così l’istriano, il marchigiano, il pugliese, il calabro e per certi aspetti anche il maremmano. Il pugliese e l’istriano adattati al terreno calcareo carsico hanno assunto caratteristiche morfologiche pressocchè identiche.
Tra le due guerre mondiali si attuarono dei travasi genetici tra il ceppo pugliese e l’istriano;testimonianza di ciò sono anche alcuni nomi che sono stati imposti ai figli dei tori pugliesi nati in Istria: Napoli è uno di questi. In Istria si era soliti definire Napoli o napoletano tutto ciò che proveniva dalle vecchie province. Secondo risultati di ricerche geologiche, storiche e genetiche sul filum evolutivo delle razze bovine, quelle odierne discenderebbero già neMiocene dal Bos planifrons dal quale successivamente nel Pleistocene sarebbero derivati il Bos primigenius o Uro europeo ed il Bos namadicus, o Uro afroasiatico. Dal primo nel neolitico sarebbero discese le razze a corna brevi, tutte quelle del Nord Europa, Val padana compresa; dal secondo le razze a corna lunghe e di grossa mole quali il Bos taurus macroceros dell’Europa meridionale ed orientale e dell’Asia e quindi l’odierna razza della steppa
o razza podolica nonchè alcune razze iberiche. 15.000 anni or sono l’Europa era coperta da foreste e da steppe ed i numerosi bovini erano oggetto di caccia, com’è rappresentato nelle raffigurazioni cavernicole di Spagna e Francia. 5000 anni or sono nel Nord Africa, in Mesopotamia, Egitto, Grecia e Sicilia il bovino era oggetto d’allevamento e quelli a corna a lira erano preferiti agli altri e considerati sacri nei rituali, nell’arte e nella tauromachia che attualmente utilizza le razze iberiche, ma in passato si esercitava anche in Egitto ed a Creta ove ha dato luogo al mito del Minotauro.
Nella penisola italica si diffondevano invece ceppi di origine podolica; così in Lucania, Calabria, Puglia,Veneto, Abruzzo e Maremma; così nella Penisola istriana, nella Slavonia settentrionale, in Croazia ed in Serbia. Di particolare interesse risultano ancora i ritrovamenti di ossa di animali nelle grotte del Carso che mettono in evidenza come nel periodo protostorico ed in quelli immediatamente successivi le popolazioni bovine appartenessero sia all’Uro che a razze addomesticate. Gli stessi ritrovamenti testimoniano ancora come queste ultime in epoca romana aumentassero notevolmente in grandezza e robustezza a seguito della selezione scientifica in particolare nei prodotti della castrazione soprattutto se confrontati con soggetti di ceppo podolico ungherese che corrispondono a quelli del periodo protostorico della nostra regione.
Il bovino istriano è una razza a triplice attività: lavoro, carne e latte. Incontra il primo mortale nemico, frutto della civiltà industriale, nel mezzo meccanico, alienatore dei sensi: il trattore. Già nei primi anni Trenta, esso aveva fatto la sua comparsa nelle zone della bonifica istriana per competere con la tradizionale forza lavoro locale. Nelle vecchie foto compaiono i conduttori-trattoristi appollaiati sull’assordante e puzzolente mezzo a violentar la terra.Non si vede più il solenne bove con il suo cadenzato passo a preparar la terra nelle umide giornate novembrine con l’alito condensato, quasi a soffiare vita nelle zolle profumate di terra fresca che si apprestano a ricevere e nascondere il seme. Secondo nemico, più subdolo, la specializzazione zootecnica produttiva: latte o carne. Ed il Boscarin che fino ad allora aveva offerto all’uomo tutto quello che il bove può offrire, compreso il tepore della stalla nelle notti invernali, chiudeva così il suo rapporto antico con l’uomo ormai moderno: al macello. La frenesia del profitto immediato, il voler tutto e subito, che sembra appartenere alle giovani generazioni, ma che è ciò che ispira la civiltà consumistica, privilegia le razze bovine altamente selezionate e specializzate nelle loro produzioni. Per il latte una razza ha il predominio oggi su tutto il Pianeta: la Pezzata nera di origine olandese, anch’essa proveniente dall’Est. Le altre razze non necessarie sono state eliminate o sono in via di eliminazione. Ed all’interno del ceppo della regina del latte sono stati scelti i capi più produttivi ed ovunque si sono diffuse le loro discendenze, inizialmente con la sola fecondazione artificiale, in seguito anche con “l’embrio-transfert”. Ora domina, avendo soppiantato le concorrenti, una sola linea di sangue, quella della Carnation americana, capace di oltre 100 q.li di latte in 300 giorni; il seme dei tori migliori, che hanno esaurito la loro carriera da decine di anni, congelato, è ancora quotato in borsa.
Quale il prezzo pagato? Le razze autoctone costituiscono con il loro ambiente un ecosistema in equilibrio dinamico che esprime la migliore potenzialità produttiva; quelle altamente specializzate, capaci di produzioni record, necessitano costantemente di supporti tecnologici di difesa nei confronti di malattie, contro la sterilità o ipofertilità, contro le malattie neonatali, ecc. Questi interventi limitano anche le caratteristiche organolettiche dei loro prodotti destinati all’alimentazione umana, compromettendone spesso anche la salubrità. Le loro esigenze alimentari sono poi superiori alle loro capacità digestive per cui questi capi necessitano di quote di alimentazione concentrata, spesso medicata.
Le razze da carne se da un lato esaltano la precocità produttiva, dall’altro danno delle produzioni scadenti sotto il profilo organolettico, nutritivo e della salubrità. Non è ancora andato perduto il ricordo del sapore e del profumo di un piatto di lesso, arrosto o brasato, ceduti dal bue di una volta per poter liberamente disprezzare ciò che si ricava da un vitellone sottoposto a finissaggio, alimentato con insilato di miel-mais ed integratori ed allevato in batteria.
La quota d’investimento in medicamenti è sempre in aumento, non per ricercare il benessere dell’animale o il suo buono stato di salute,ma unicamente per favorire il suo costante e rapido incremento ponderale.
Sono state selezionate alcune razze come la Cuneese o “fassona” o della coscia e la bianca e blu belga in cui i volumi della coscia nei vitelli sono notevolissimi, fatto che costituisce il pregio della razza. Il canale del parto delle madri è tuttavia spesso insufficiente e la maggior percentuale dei parti può perciò avvenire solo attraverso il taglio cesareo: cinque, sei gravidanze, altrettanti parti cesarei.
Oggi finalmente negli ambienti più responsabili ci si rende conto che l’attuale tendenza sta dilapidando un patrimonio genetico che la Natura ci ha donato attraverso il lavoro selettivo di millenni, si stanno lanciando segnali di allarme e si tenta di correre ai ripari.
L’Organizzazione mondiale per l’agricoltura,la FAO ed Istituti di ricerca dei singoli Paesi, tra cui il C.N.R. in Italia hanno messo in atto programmi di recupero di alcune reliquie genetiche per riportarle allo stato di popolazioni attive. Esistono anche per il Boscarin i presupposti tecnici per un suo recupero e successivo rilancio, ma la necessità primaria è rappresentata da una presa di coscienza del problema in tutti gli ambienti competenti e la volontà e perseveranza nel portarlo a soluzione. Le tecnologie di recupero di razze animali da reddito in via di estinzione sono ormai ampiamente sperimentate e si basano essenzialmente sulla identificazione sierologica dei soggetti appartenenti allo standard di razza per la diffusione del suo corredo genetico con l’impiego della fecondazione strumentale e dell’embrio- transfert, utilizzando femmine portatrici. Ovuli di femmine rientranti negli standard di razza,fecondati con seme di tori altrettanto puri, vengono fatti gestire da femmine di qualsivoglia razza, magari lattifere a fine carriera, che, a gravidanza ultimata, offrono vitelli depositari del corredo genetico desiderato. Al fine di non eccedere poi nella consanguineità, data la scarsità del materiale disponibile, è possibile in questo caso utilizzare soggetti di origine podolica, ma con grandi affinità genetiche al ceppo dell’istriana, come quelli pugliesi o calabri e con identiche
non perfettamente sovrapponibili.
I vantaggi che si possono ricavare da queste operazioni non sono certo quelli derivati dal soddisfare le nostalgiche rimembranze di qualche vecchio sognatore o i meri, limitati ed episodici interessi di singoli, ma innanzitutto quelli inerenti la conservazione di preziose risorse genetiche che ci sono state affidate e che abbiamo il dovere di tramandare alle generazioni future.
Preziose perché, perfettamente adattate al loro ambiente, possono darci prodotti di alta qualità ed ineccepibile salubrità, ma possono anche esser utilizzate per incroci di prima generazione nel miglioramento di produzioni là dove ciò si rendesse necessario.
Circa l’adattabilità all’ambiente delle razze allevate, è opportuno tener presente che in alcune regioni africane ove si era tentato di introdurre razze da reddito europee, considerato l’alto costo della lotta contro le malattie infettive e parassitarie, verso le quali i nuovi soggetti non erano resistenti, si sta facendo ora marcia indietro. Il notevole sforzo per l’adattamento alle nuove condizioni ambientali ha suggerito di percorrere altre strade, operando attraverso incroci di sostituzione con razze indigene o addirittura iniziando l’allevamento di razze selvatiche autoctone quali gazzelle, bufali, zebre e persino struzzi ed ippopotami. Ed in Istria oggi paradossalmente si abbandona l’allevamento del Boscarin, ma si allestiscono allevamenti di struzzi.
Boscarin è il nome che oggi viene dato al bovino istriano di razza podolica, ormai ridotto ad una reliquia genetica; sul territorio istriano sarà presente un centinaio di capi; censimenti più accurati ne rileverebbero forse duecento. Gaiardo, Caparin, Napoli, Viola erano i nomi più frequentemente usati per i rappresentanti della popolazione bovina dell’Istria che in passato raggiungeva le sessantamila unità.
Stì Caparì’, Zaa, erano incitamenti-comandi lanciati al bue dal contadino-conducente in modo lento, cantilenato in armonia con il suo modo d’incedere maestoso, accompagnati da un dolce rotear di “scuria” che si appoggiava al collo dell’animale come una carezza, un’intesa. La scuria e non frusta era un segno di distinzione per il proprietario;“una cubia de manzi” era tra l’altro un capitale, ma in più significava tanta terra da lavorare; altrimenti si usava il mulo o l’asino.
Oltre a tutto il Boscarin è soggetto seppure possente,docile e mansueto alla nostra mano. Il bue, aggiogato in diverse coppie, ha trasportato massi anche per la costruzione dell’Arena di Pola e dissodato il tenace terreno istriano. Come quasi ogni altra cosa è giunto alle rive dell’Adriatico dall’Est, dalla Podolia, dalle terre alte a base granitica dell’Ucraina orientale; da qui si è diffuso alle zone litoranee della penisola appenninica dando luogo per isolamento geografico successivo a popolazioni, famiglie e sottofamiglie di forme in alcune delle quali, per l’influenza di caratteristiche ambientali simili delle zone d’insediamento, il bue ha mantenuto od assunto aspetti morfologici molto simili; si rassomigliano così l’istriano, il marchigiano, il pugliese, il calabro e per certi aspetti anche il maremmano. Il pugliese e l’istriano adattati al terreno calcareo carsico hanno assunto caratteristiche morfologiche pressocchè identiche.
Tra le due guerre mondiali si attuarono dei travasi genetici tra il ceppo pugliese e l’istriano;testimonianza di ciò sono anche alcuni nomi che sono stati imposti ai figli dei tori pugliesi nati in Istria: Napoli è uno di questi. In Istria si era soliti definire Napoli o napoletano tutto ciò che proveniva dalle vecchie province. Secondo risultati di ricerche geologiche, storiche e genetiche sul filum evolutivo delle razze bovine, quelle odierne discenderebbero già neMiocene dal Bos planifrons dal quale successivamente nel Pleistocene sarebbero derivati il Bos primigenius o Uro europeo ed il Bos namadicus, o Uro afroasiatico. Dal primo nel neolitico sarebbero discese le razze a corna brevi, tutte quelle del Nord Europa, Val padana compresa; dal secondo le razze a corna lunghe e di grossa mole quali il Bos taurus macroceros dell’Europa meridionale ed orientale e dell’Asia e quindi l’odierna razza della steppa
o razza podolica nonchè alcune razze iberiche. 15.000 anni or sono l’Europa era coperta da foreste e da steppe ed i numerosi bovini erano oggetto di caccia, com’è rappresentato nelle raffigurazioni cavernicole di Spagna e Francia. 5000 anni or sono nel Nord Africa, in Mesopotamia, Egitto, Grecia e Sicilia il bovino era oggetto d’allevamento e quelli a corna a lira erano preferiti agli altri e considerati sacri nei rituali, nell’arte e nella tauromachia che attualmente utilizza le razze iberiche, ma in passato si esercitava anche in Egitto ed a Creta ove ha dato luogo al mito del Minotauro.
Nella penisola italica si diffondevano invece ceppi di origine podolica; così in Lucania, Calabria, Puglia,Veneto, Abruzzo e Maremma; così nella Penisola istriana, nella Slavonia settentrionale, in Croazia ed in Serbia. Di particolare interesse risultano ancora i ritrovamenti di ossa di animali nelle grotte del Carso che mettono in evidenza come nel periodo protostorico ed in quelli immediatamente successivi le popolazioni bovine appartenessero sia all’Uro che a razze addomesticate. Gli stessi ritrovamenti testimoniano ancora come queste ultime in epoca romana aumentassero notevolmente in grandezza e robustezza a seguito della selezione scientifica in particolare nei prodotti della castrazione soprattutto se confrontati con soggetti di ceppo podolico ungherese che corrispondono a quelli del periodo protostorico della nostra regione.
Il bovino istriano è una razza a triplice attività: lavoro, carne e latte. Incontra il primo mortale nemico, frutto della civiltà industriale, nel mezzo meccanico, alienatore dei sensi: il trattore. Già nei primi anni Trenta, esso aveva fatto la sua comparsa nelle zone della bonifica istriana per competere con la tradizionale forza lavoro locale. Nelle vecchie foto compaiono i conduttori-trattoristi appollaiati sull’assordante e puzzolente mezzo a violentar la terra.Non si vede più il solenne bove con il suo cadenzato passo a preparar la terra nelle umide giornate novembrine con l’alito condensato, quasi a soffiare vita nelle zolle profumate di terra fresca che si apprestano a ricevere e nascondere il seme. Secondo nemico, più subdolo, la specializzazione zootecnica produttiva: latte o carne. Ed il Boscarin che fino ad allora aveva offerto all’uomo tutto quello che il bove può offrire, compreso il tepore della stalla nelle notti invernali, chiudeva così il suo rapporto antico con l’uomo ormai moderno: al macello. La frenesia del profitto immediato, il voler tutto e subito, che sembra appartenere alle giovani generazioni, ma che è ciò che ispira la civiltà consumistica, privilegia le razze bovine altamente selezionate e specializzate nelle loro produzioni. Per il latte una razza ha il predominio oggi su tutto il Pianeta: la Pezzata nera di origine olandese, anch’essa proveniente dall’Est. Le altre razze non necessarie sono state eliminate o sono in via di eliminazione. Ed all’interno del ceppo della regina del latte sono stati scelti i capi più produttivi ed ovunque si sono diffuse le loro discendenze, inizialmente con la sola fecondazione artificiale, in seguito anche con “l’embrio-transfert”. Ora domina, avendo soppiantato le concorrenti, una sola linea di sangue, quella della Carnation americana, capace di oltre 100 q.li di latte in 300 giorni; il seme dei tori migliori, che hanno esaurito la loro carriera da decine di anni, congelato, è ancora quotato in borsa.
Quale il prezzo pagato? Le razze autoctone costituiscono con il loro ambiente un ecosistema in equilibrio dinamico che esprime la migliore potenzialità produttiva; quelle altamente specializzate, capaci di produzioni record, necessitano costantemente di supporti tecnologici di difesa nei confronti di malattie, contro la sterilità o ipofertilità, contro le malattie neonatali, ecc. Questi interventi limitano anche le caratteristiche organolettiche dei loro prodotti destinati all’alimentazione umana, compromettendone spesso anche la salubrità. Le loro esigenze alimentari sono poi superiori alle loro capacità digestive per cui questi capi necessitano di quote di alimentazione concentrata, spesso medicata.
Le razze da carne se da un lato esaltano la precocità produttiva, dall’altro danno delle produzioni scadenti sotto il profilo organolettico, nutritivo e della salubrità. Non è ancora andato perduto il ricordo del sapore e del profumo di un piatto di lesso, arrosto o brasato, ceduti dal bue di una volta per poter liberamente disprezzare ciò che si ricava da un vitellone sottoposto a finissaggio, alimentato con insilato di miel-mais ed integratori ed allevato in batteria.
La quota d’investimento in medicamenti è sempre in aumento, non per ricercare il benessere dell’animale o il suo buono stato di salute,ma unicamente per favorire il suo costante e rapido incremento ponderale.
Sono state selezionate alcune razze come la Cuneese o “fassona” o della coscia e la bianca e blu belga in cui i volumi della coscia nei vitelli sono notevolissimi, fatto che costituisce il pregio della razza. Il canale del parto delle madri è tuttavia spesso insufficiente e la maggior percentuale dei parti può perciò avvenire solo attraverso il taglio cesareo: cinque, sei gravidanze, altrettanti parti cesarei.
Oggi finalmente negli ambienti più responsabili ci si rende conto che l’attuale tendenza sta dilapidando un patrimonio genetico che la Natura ci ha donato attraverso il lavoro selettivo di millenni, si stanno lanciando segnali di allarme e si tenta di correre ai ripari.
L’Organizzazione mondiale per l’agricoltura,la FAO ed Istituti di ricerca dei singoli Paesi, tra cui il C.N.R. in Italia hanno messo in atto programmi di recupero di alcune reliquie genetiche per riportarle allo stato di popolazioni attive. Esistono anche per il Boscarin i presupposti tecnici per un suo recupero e successivo rilancio, ma la necessità primaria è rappresentata da una presa di coscienza del problema in tutti gli ambienti competenti e la volontà e perseveranza nel portarlo a soluzione. Le tecnologie di recupero di razze animali da reddito in via di estinzione sono ormai ampiamente sperimentate e si basano essenzialmente sulla identificazione sierologica dei soggetti appartenenti allo standard di razza per la diffusione del suo corredo genetico con l’impiego della fecondazione strumentale e dell’embrio- transfert, utilizzando femmine portatrici. Ovuli di femmine rientranti negli standard di razza,fecondati con seme di tori altrettanto puri, vengono fatti gestire da femmine di qualsivoglia razza, magari lattifere a fine carriera, che, a gravidanza ultimata, offrono vitelli depositari del corredo genetico desiderato. Al fine di non eccedere poi nella consanguineità, data la scarsità del materiale disponibile, è possibile in questo caso utilizzare soggetti di origine podolica, ma con grandi affinità genetiche al ceppo dell’istriana, come quelli pugliesi o calabri e con identiche
non perfettamente sovrapponibili.
I vantaggi che si possono ricavare da queste operazioni non sono certo quelli derivati dal soddisfare le nostalgiche rimembranze di qualche vecchio sognatore o i meri, limitati ed episodici interessi di singoli, ma innanzitutto quelli inerenti la conservazione di preziose risorse genetiche che ci sono state affidate e che abbiamo il dovere di tramandare alle generazioni future.
Preziose perché, perfettamente adattate al loro ambiente, possono darci prodotti di alta qualità ed ineccepibile salubrità, ma possono anche esser utilizzate per incroci di prima generazione nel miglioramento di produzioni là dove ciò si rendesse necessario.
Circa l’adattabilità all’ambiente delle razze allevate, è opportuno tener presente che in alcune regioni africane ove si era tentato di introdurre razze da reddito europee, considerato l’alto costo della lotta contro le malattie infettive e parassitarie, verso le quali i nuovi soggetti non erano resistenti, si sta facendo ora marcia indietro. Il notevole sforzo per l’adattamento alle nuove condizioni ambientali ha suggerito di percorrere altre strade, operando attraverso incroci di sostituzione con razze indigene o addirittura iniziando l’allevamento di razze selvatiche autoctone quali gazzelle, bufali, zebre e persino struzzi ed ippopotami. Ed in Istria oggi paradossalmente si abbandona l’allevamento del Boscarin, ma si allestiscono allevamenti di struzzi.