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MAZAR (COPAR) EL PORCO
Come in tutte le culture contadine del Centro Europa, anche in Istria il maiale rappresentava l’elemento fondante dell’economia e della sussistenza alimentare delle famiglie rurali formate da sei, dieci, talvolta venti tra donne, bambini e uomini. La giusta macellazione, la corretta preparazione delle carni e degli insaccati,l’utilizzo di tutto quanto forniva il maiale, permettevano un sufficiente apporto di calorie da distribuire durante il corso delle stagioni e dei lavori agricoli conseguenti.
E’ da tener presente che gli altri animali dell’economia contadina, raramente venivano usati per la carne: le galline per le uova (brodo de capon per Pasqua, Nadal, Santissimo Carneval), capre e pecore per latte e lana, mucche (armente) per latte e vitelli, buoi (manzi) per il lavoro nei campi.
Il maiale quindi, sia per il rapido accrescimento (un anno e mezzo dalla nascita a 120/140 kg, due anni o poco più per arrivare a 200/250 kg) sia per la sua caratteristica di poter venir alimentato con tutti i prodotti stagionali della terra - trifoglio, zucche, granoturco, mele, patate, etc. rimaneva la fonte più importante per la fornitura di grassi e proteine nobili.
Da qualche decennio, con il cambiamento da un’economia totalmente agricola, ad una mista, industriale e commerciale, anche il “porco” ha perso la sua prevalenza economica. Contemporaneamente, la comparsa di un elettrodomestico -il congelatore- sta velocemente portando ad un diverso utilizzo delle carni.
Se a questo aggiungiamo la minore richiesta di grassi animali - strutto e lardo - sostituiti da grassi vegetali,potremmo intravedere una veloce scomparsa di miti e riti che per centinaia e centinaia d’anni hanno accompagnato l’uccisione del maiale.
Nelle descrizioni delle varie fasi del “rito” sarà bene tener conto di ulteriori fattori: qui ci riferiamo ad usi dell’Istria interna, o per sentito dire da qualche altra parte dell’Istria; i sistemi di salatura e conservazione si riferiscono al particolare microclima
dell’Istria interna, con inverni freddi e ventosi ed estati calde ed asciutte.
Preso nella stalla il maiale per le orecchie e per la coda (o con un laccio per il naso) viene trascinato sull’aia in leggero pendio e, afferrato per le zampe - un uomo per zampa - viene fatto ribaltare su di un fianco. Una volta assicurata una buona presa sulle zampe il padrone di casa o una persona di sua fiducia con un coltello lungo ed acuminato ferisce (ponzi) l’animale sino ad arrivare al cuore.
Estratto il coltello, dalla ferita esce il sangue che viene raccolto in una pentola con un po’ di sale,mescolando continuamente onde evitare il coagulo. A questo punto viene portata agli uomini che stanno lavorando una bottiglia di grappa ed i bicchieri.Si brinda alla buona riuscita del lavoro.
Oramai morto, si copre l’animale con della paglia e si accende il fuoco.Questo per bruciare le setole, levare le unghie e, non ultimo, sterilizzare in qualche modo tutta la pelle dell’animale.
Bruciato da una parte e dall’altra, viene alzato su di un pianale e qui,con dei coltelli affilati ed acqua calda,viene completata l’opera di asportazione delle setole e di pulizia di pelle,piedi,naso,orecchie, coda.
Con l’ausilio di un paranco o di tre o quattro uomini si appende il maiale a testa in giù. Lavato con spazzola ed acqua calda,viene aperto sul ventre e vengono tolte le interiora (il quinto quarto). Gli intestini vengono vuotati e ben lavati e serviranno per insaccare le salsicce (luganighe).Questo è lavoro per le donne. Si taglia la testa dal corpo e la si appende. La carcassa viene portata su di un tavolo in cantina. Si inizia a preparare le varie parti, avendo cura di non rovinarle con tagli imprecisi. Si toglie innanzi tutto il “fil de schena” con le costole e si mette da parte.
A questo punto è d’obbligo tagliare qualche pezzo di carne o di
cineranno
più alla carne. Si prosegue tagliando le spallette (zampe
anteriori), i prosciutti, il lardo, le pancette, che verranno intanto
sistemati da qualche altra parte, in pendenza.
Si riprende il “fil de schena” e si tagliano via con estrema attenzione
i due “omboli “ o “nomboli”,una delle parti più pregiate,assieme
ai prosciutti, poi si divide il “fil de schena” ancora in ossocollo,
coste,ossi e coda. A questo punto il lavoro grezzo è finito e si passa
a rifinire tutte le varie pezzature di carne. Questo lavoro serve a
recuperare tutti i pezzi di carne magra (le brasiole) che serviranno
per le “luganighe”.
Per ultimo si lavora la testa, lingua, sottogola, orecchie e “zervel”
che in frittata è destinato ai bambini.La mascella inferiore,pulita,
veniva usata, fino all’avvento della lavatrice e dei fosfati, per candeggiare
la biancheria. I vari tagli di carne vengono salati e lasciati
scolare.Qui generalmente finisce la prima giornata.
Le “brasiole” sulle “bronze” saranno la cena per tutta la famiglia
e per le persone che hanno aiutato nella giornata.
Il giorno successivo si preparano le “luganighe”, si valuta se i
pezzi tagliati siano sufficientemente grassi - se no si aggiunge del
lardo - e vengono macinati (una volta si sminuzzavano con l’accetta).
La carne macinata viene distesa su di una tavola e si procede alla
“conza”:sale,pece,rosmarino,alloro,aglio,vino ed infiniti altri “conzieri”
che diventano argomento di dibattito infinito. Si saprà a Carnevale
se c’era troppo sale o troppo poco.
Si mescola il “paston” e si rimette nel tritacarne cui viene applicato
una specie di imbuto per infilare il budello. Si riempiono così
le “luganighe” che nella lunghezza di uno- due metri verranno portate
ad asciugare,avvolte a spirale su delle canne,in un posto asciutto
e ventilato.Anche le altre parti, più o meno salate ed impepate,
verranno appese con i venchi per la stagionatura.
Puliti e lavati gli attrezzi, arriva la sera ed il riposo.
All’indomani, pensieri e lavoro.
Come in tutte le culture contadine del Centro Europa, anche in Istria il maiale rappresentava l’elemento fondante dell’economia e della sussistenza alimentare delle famiglie rurali formate da sei, dieci, talvolta venti tra donne, bambini e uomini. La giusta macellazione, la corretta preparazione delle carni e degli insaccati,l’utilizzo di tutto quanto forniva il maiale, permettevano un sufficiente apporto di calorie da distribuire durante il corso delle stagioni e dei lavori agricoli conseguenti.
E’ da tener presente che gli altri animali dell’economia contadina, raramente venivano usati per la carne: le galline per le uova (brodo de capon per Pasqua, Nadal, Santissimo Carneval), capre e pecore per latte e lana, mucche (armente) per latte e vitelli, buoi (manzi) per il lavoro nei campi.
Il maiale quindi, sia per il rapido accrescimento (un anno e mezzo dalla nascita a 120/140 kg, due anni o poco più per arrivare a 200/250 kg) sia per la sua caratteristica di poter venir alimentato con tutti i prodotti stagionali della terra - trifoglio, zucche, granoturco, mele, patate, etc. rimaneva la fonte più importante per la fornitura di grassi e proteine nobili.
Da qualche decennio, con il cambiamento da un’economia totalmente agricola, ad una mista, industriale e commerciale, anche il “porco” ha perso la sua prevalenza economica. Contemporaneamente, la comparsa di un elettrodomestico -il congelatore- sta velocemente portando ad un diverso utilizzo delle carni.
Se a questo aggiungiamo la minore richiesta di grassi animali - strutto e lardo - sostituiti da grassi vegetali,potremmo intravedere una veloce scomparsa di miti e riti che per centinaia e centinaia d’anni hanno accompagnato l’uccisione del maiale.
Nelle descrizioni delle varie fasi del “rito” sarà bene tener conto di ulteriori fattori: qui ci riferiamo ad usi dell’Istria interna, o per sentito dire da qualche altra parte dell’Istria; i sistemi di salatura e conservazione si riferiscono al particolare microclima
dell’Istria interna, con inverni freddi e ventosi ed estati calde ed asciutte.
Preso nella stalla il maiale per le orecchie e per la coda (o con un laccio per il naso) viene trascinato sull’aia in leggero pendio e, afferrato per le zampe - un uomo per zampa - viene fatto ribaltare su di un fianco. Una volta assicurata una buona presa sulle zampe il padrone di casa o una persona di sua fiducia con un coltello lungo ed acuminato ferisce (ponzi) l’animale sino ad arrivare al cuore.
Estratto il coltello, dalla ferita esce il sangue che viene raccolto in una pentola con un po’ di sale,mescolando continuamente onde evitare il coagulo. A questo punto viene portata agli uomini che stanno lavorando una bottiglia di grappa ed i bicchieri.Si brinda alla buona riuscita del lavoro.
Oramai morto, si copre l’animale con della paglia e si accende il fuoco.Questo per bruciare le setole, levare le unghie e, non ultimo, sterilizzare in qualche modo tutta la pelle dell’animale.
Bruciato da una parte e dall’altra, viene alzato su di un pianale e qui,con dei coltelli affilati ed acqua calda,viene completata l’opera di asportazione delle setole e di pulizia di pelle,piedi,naso,orecchie, coda.
Con l’ausilio di un paranco o di tre o quattro uomini si appende il maiale a testa in giù. Lavato con spazzola ed acqua calda,viene aperto sul ventre e vengono tolte le interiora (il quinto quarto). Gli intestini vengono vuotati e ben lavati e serviranno per insaccare le salsicce (luganighe).Questo è lavoro per le donne. Si taglia la testa dal corpo e la si appende. La carcassa viene portata su di un tavolo in cantina. Si inizia a preparare le varie parti, avendo cura di non rovinarle con tagli imprecisi. Si toglie innanzi tutto il “fil de schena” con le costole e si mette da parte.
A questo punto è d’obbligo tagliare qualche pezzo di carne o di
cineranno
più alla carne. Si prosegue tagliando le spallette (zampe
anteriori), i prosciutti, il lardo, le pancette, che verranno intanto
sistemati da qualche altra parte, in pendenza.
Si riprende il “fil de schena” e si tagliano via con estrema attenzione
i due “omboli “ o “nomboli”,una delle parti più pregiate,assieme
ai prosciutti, poi si divide il “fil de schena” ancora in ossocollo,
coste,ossi e coda. A questo punto il lavoro grezzo è finito e si passa
a rifinire tutte le varie pezzature di carne. Questo lavoro serve a
recuperare tutti i pezzi di carne magra (le brasiole) che serviranno
per le “luganighe”.
Per ultimo si lavora la testa, lingua, sottogola, orecchie e “zervel”
che in frittata è destinato ai bambini.La mascella inferiore,pulita,
veniva usata, fino all’avvento della lavatrice e dei fosfati, per candeggiare
la biancheria. I vari tagli di carne vengono salati e lasciati
scolare.Qui generalmente finisce la prima giornata.
Le “brasiole” sulle “bronze” saranno la cena per tutta la famiglia
e per le persone che hanno aiutato nella giornata.
Il giorno successivo si preparano le “luganighe”, si valuta se i
pezzi tagliati siano sufficientemente grassi - se no si aggiunge del
lardo - e vengono macinati (una volta si sminuzzavano con l’accetta).
La carne macinata viene distesa su di una tavola e si procede alla
“conza”:sale,pece,rosmarino,alloro,aglio,vino ed infiniti altri “conzieri”
che diventano argomento di dibattito infinito. Si saprà a Carnevale
se c’era troppo sale o troppo poco.
Si mescola il “paston” e si rimette nel tritacarne cui viene applicato
una specie di imbuto per infilare il budello. Si riempiono così
le “luganighe” che nella lunghezza di uno- due metri verranno portate
ad asciugare,avvolte a spirale su delle canne,in un posto asciutto
e ventilato.Anche le altre parti, più o meno salate ed impepate,
verranno appese con i venchi per la stagionatura.
Puliti e lavati gli attrezzi, arriva la sera ed il riposo.
All’indomani, pensieri e lavoro.